Mazzarri: «All'Inter volevano farmi fuori, adesso avrei rifiutato»
Connettiti con noi

Hanno Detto

Mazzarri: «All’Inter volevano farmi fuori, adesso avrei rifiutato, sugli alibi dico…»

Pubblicato

su

L’ex allenatore dell’Inter, Walter Mazzarri, ha ripercorso le tappe della propria carriera ed ha detto la sua sul proprio futuro

Walter Mazzarri ha rilasciato una lunga intervista al Corriere dello Sport, all’interno della quale ha ripercorso le tappe del proprio passato come Livorno, Reggina, Sampdoria, Napoli, Inter, Torino e Cagliari. Si è espresso anche su quelle che sono le sue volontà per il futuro.

LA MIA VOLONTÀ – «Dopo tanto tempo torno a parlare, concedo un’intervista. Sono sparito perché quella era la mia volontà. Se avessi voluto allenare avrei potuto farlo, le offerte non sono mancate. Non sono più stressato e ossessivo come un tempo. Quando stai in un mondo come il nostro non devi pensare solo a fare l’allenatore, non basta far rendere i giocatori per poi trascurare i rapporti. A 62 anni mi rendo conto che hanno ragione quelli che, magari non conoscendomi, mi considerano antipatico. Ecco, credo di aver pagato un po’ troppo i miei atteggiamenti, la mia ritrosia. Come si dice adesso? Scarsa empatia. La carriera parla per me. Ecco perché, non essendo rimasto tanto simpatico, purtroppo anche a qualche giornalista, non ho avuto quello che meritavo. Sono partito da meno di zero. Ho pensato esclusivamente al campo, tutto il resto lo consideravo, più che accessorio, inutile. Pensavo che dovesse bastare il campo e ho sbagliato. L’età e le soste volute o forzate mi hanno aiutato, sono cambiato, un cambiamento naturale. In questo periodo mi sono reso conto dei cambiamenti del calcio e li ho approfonditi».

L’ESPERIENZA A NAPOLI

NAPOLI PRIMA – «Da quando è presidente De Laurentiis sono quello che c’è stato più a lungo. Voglio solo dire che con lui ho avuto un rapporto stupendo. E se fosse stato per De Laurentiis sarei rimasto tanti anni ancora, come si usa in Inghilterra. Però, lo dissi anche a suo tempo, dopo quattro anni se non cambi tutti i giocatori o non ne cambi tanti, diventi troppo prevedibile. È anche una questione di linguaggio. Pensai che fosse quello il momento di andar via. Io sono uno stakanovista, quando lavoro sono un martello, anche per questo mi sono concesso delle pause. Lui mi chiamava, almeno i primi tempi, alle 6 del mattino, massimo le 6.30, e mi faceva un favore. Alle 9 ero già al campo per l’allenamento e il confronto era stato pieno, completo. Con lui avevo un rapporto diretto. E’ possibile che a Napoli avvertissi uno stress particolare, in fondo venivo da esperienze minori. Non ero abituato alla pressione di una piazza così».

NAPOLI ANCHE ADESSO? – «Il Napoli che mi piaceva tanto l’anno scorso con Spalletti me lo sono studiato a memoria. Conosco tutti i movimenti che facevano, questo fa parte di me. Ma finisce qui. Non ho sentito nessuno del Napoli. Sono balle. A Napoli vorrebbero tornare tutti perché è una squadra forte, il club è diventato importante. Napoli è un posto affascinante. Se dovessi avere, come ho avuto, delle chance di rientrare, mi piacerebbe trovare gente disposta a capire il calcio che intendo fare. Mi piace insegnare, migliorare i giocatori, impostare un lavoro serio. Programmare: chiedo troppo?»

I PROBLEMI ALL’INTER

INTER – «Ho pagato l’antipatia di persone che non vedevano l’ora di attaccarmi e farmi fuori. Di Inter, quell’anno, c’era solo la maglia nerazzurra, basta dare un’occhiata alla formazione per rendersi conto che non era competitiva, non all’altezza del nome che portava. Con l’esperienza che ho oggi non avrei probabilmente accettato, anche se l’Inter è un posto prestigioso. Quando alleni un club di quell’importanza devi poter disporre di una squadra potenzialmente da primi tre posti, altrimenti preparati a essere contestato ogni tre giorni. Un grande equivoco, quell’esperienza. Anche se poi, rispetto a chi è arrivato dopo e a chi mi aveva preceduto, ho fatto meglio. Io quinto, loro ottavi. A volte sento allenatori di squadre importanti che accampano molte più scuse di quelle che accampavo io. Quando perdi non puoi dire ‘la squadra non è all’altezza del club, del suo blasone’».

ALIBI E NON SOLO – «Certe etichette te le appiccicano addosso quando sei costretto a mentire, a difendere il gruppo. Nel calcio perdi poche volte se hai i campioni, se invece sei costretto ad arrangiarti per portarla a casa, il segno della croce non basta. Uno schema riesce meglio se chi lo esegue ha qualità, non sbaglia lo stop, rispetta i tempi di gioco, non fa saltare i sincronismi. Questo è l’abc. Se fai tutte le cose per bene e nel momento in cui arriva la palla dove vorresti che arrivasse, quella rimbalza, cioè cade su un piede poco educato, addio buone idee. E l’allenatore che c’entra? Quando si valutano gli allenatori bisogna considerare il valore del gruppo. La tecnica si può e si deve migliorare, ma a tutto c’è un limite. È inutile che l’allenatore abbia mille idee, prepari schemi a destra e sinistra, se poi basta uno stop sbagliato per annullare ogni sforzo. Non c’è niente da fare: i tempi di gioco li detta la tecnica»

Copyright 2024 © riproduzione riservata Inter News 24 - Registro Stampa Tribunale di Torino n. 49 del 07/09/2021- Iscritto al Registro Operatori di Comunicazione al n. 26692 - P.I.11028660014 - Editore e proprietario: Sport Review s.r.l. Sito non ufficiale, non autorizzato o connesso all' FC Internazionale Milano I marchi Inter sono di esclusiva proprietà di FC Internazionale Milano