Lukaku «Prima di arrivare all'Inter non riuscivo a trascinare i compagni»
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Lukaku «Prima di arrivare all’Inter non ero in grado di trascinare i miei compagni»

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Lukaku «Prima di arrivare all’Inter non ero in grado di trascinare i miei compagni, mi mancavano le forze»

Nel corso di una lunga intervista rilasciata a Vogue Uomo, Romelu Lukaku ha raccontato qualche aneddoto riguardante la sua carriera:

GIOVENTÙ – «Fino ai 22 anni sono sempre stato il più giovane in ogni squadra in cui giocassi, e volevo apparire più maturo. Vivevo ancora a Manchester quando un giorno dissi a mia madre: vado a rasarmi i capelli. Lei non ci credeva, e invece l’ho fatto. Barba e capelli a zero. Un nuovo inizio. Per un uomo l’apparenza è importante. Sono sempre stato molto sicuro di me stesso ma a un certo punto ho capito che era importante che questa sicurezza la vedessero anche gli altri. Quando accade, tutto migliora: le relazioni personali, le storie d’amore, le relazioni professionali. Devi trasmettere serietà. Ad apparenza eccellente corrisponde prestazione eccellente.».

INTER – «Prima di arrivare all’Inter non ero in grado di trascinare i miei compagni, mi mancavano le forze. Non ero lì quando avevano bisogno, non avevo il potere sufficiente a farli appoggiare sulle mie spalle. Accadeva e basta. Forse avevo semplicemente bisogno di passare attraverso un’esperienza così dolorosa, e a tratti misteriosa, per crescere e ritrovarmi qui.».

FISICO – «Mi è stato sufficiente osservare giganti come Michael Jordan: sempre impeccabile. Persino nel concedere le interviste dopo le partite: mai in tuta, mai sciatto, sempre in abito, perfetto e a suo agio. Anche Cristiano Ronaldo in questo senso è un esempio. O David Beckham, se vogliamo parlare del passato. A mio modo cerco di fare la stessa cosa. Voglio che mi si veda, che mi si senta. Che incontrandomi si pensi: ecco, questo è Lukaku».

BUONO«Io sono un bravo ragazzo, lo sono nel profondo. Mi piace entrare in una stanza e osservare l’ambiente. Capire le persone e prendere possesso dello spazio. Essere divertente e far sì che tutti interagiscano tra loro e stiano bene. Mi piacciono gli scherzi e non mi offendo quando mi si prende in giro. Però, appena mi rendo conto che sei in cerca di problemi, se mi prendi di petto e tradisci tutte le possibilità che ti ho dato, allora non faccio strade troppo larghe e ti porto dritto al punto cui vuoi arrivare. E lì wow, te ne accorgi man. E questo succede soprattutto in campo, quando la bestia dentro di me si sveglia.».

BESTIA – «Ah, lì è un problema amico, perché perdere non mi piace. Perseguito i compagni, dico cose orribili e me le faccio dire a mia volta. Una brutta abitudine? Non credo. È una cosa bella e mi tiene vivo. Anche col mister è lo stesso: lui mi urla dietro dalla panchina e appena segno sono io ad urlare dietro a lui. Gli dico “Hei, allora? Ne vuoi un altro?!”, e così facendo mi carico e si carica. È una  competitività interna: se manca, non vinci. Sa perché m’è piaciuto The Last Dance, la docuserie sui Chicago Bulls? Perché dimostra che non occorre essere amici per raggiungere la vetta. Dietro le vittorie, mi creda, non sempre ci son rose e fiori».

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