Crosetti: «All'estero rideranno del caso Acerbi. Chissà cosa pensa il padre di quel suo compagno di squadra»
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Crosetti: «All’estero rideranno del caso Acerbi. Chissà cosa pensa il padre di quel suo compagno di squadra»

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Crosetti: «All’estero rideranno del caso Acerbi. Chissà cosa pensa il padre di quel suo compagno di squadra». Il commento del noto giornalista

Sulle pagine di Repubblica il giornalista Maurizio Crosetti affronta così il caso Acerbi-Juan Jesus, ancora in deflagrazione dopo l’assoluzione del difensore dell’Inter.

Si legge: «Insufficienza di prove o di coraggio? Nell’attesa di capire se in Figc abbiano cambiato il giudice sportivo nottetempo, mettendo su quello scranno un nipote di don Abbondio o un pronipote di Ponzio Pilato, l’assoluzione di Francesco Acerbi è un trionfo di punti interrogativi. Cos’ha detto davvero il nerazzurro (e azzurro) a Juan Jesus? Perché poi si è scusato? Perché, nell’audizione in corso d’inchiesta, nessuno gliene avrebbe domandato il motivo? (Se non hai colpa, di cosa devi scusarti?) Perché mai Juan Jesus avrebbe dovuto inventarsi una cosa del genere? Il calcio è razzista? Com’è possibile che neppure un’immagine abbia potuto dimostrare la ragione e il torto? (…) Ti faccio nero”, ha dichiarato di aver detto a Juan Jesus. Ma potrebbe anche avergli sussurrato “mi scalo un pero”, “c’è Calimero”, “che bel sombrero”, “sembri un torero”. Nulla che abbia impedito a don Abbondio Pilato di scrivere nel verdetto: “Non si raggiunge nella fattispecie il livello minimo di ragionevole certezza circa il contenuto sicuramente discriminatorio dell’offesa recata”. Come dicevano i Latini, e forse Lotito, “in dubio pro reo».

E ancora: «Qui bisogna stabilire se, d’ora in avanti, si potrà offendere qualcuno sottovoce, oppure dare del negro a un avversario coprendosi la bocca, invece di sciacquarsela. Il caso Acerbi/Juan Jesus può essere un grave precedente di ipocrisia: è mai possibile che nessuno abbia sentito niente? Omertà o distrazione? Il tema è delicatissimo, e non si dica “sono cose che rimangono in campo”: la partita è tra civiltà e barbarie. Il calcio è abituato a insabbiare, la giustizia sportiva è ondivaga, troppo spesso frettolosa, ma stavolta non c’era il chiodo dove appendere il quadro, oppure qualcuno l’ha staccato dal muro. All’estero rideranno di noi. Chissà cosa ne pensa il papà di un compagno di squadra di Acerbi. Si chiama Lilian Thuram».

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