Serena: «Carriera anomala la mia all'Inter. Con Diaz ci intendevamo a meraviglia»
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Serena: «Carriera anomala la mia all’Inter. Con Diaz ci intendevamo a meraviglia»

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L’ex centravanti dell’Inter Aldo Serena ha svelato alcuni retroscena sulla sua carriera in nerazzurro e sul rapporto con Diaz

Protagonista della nuova puntata di ‘Coppie Gol’, nuovo format di InterTV in onda su Dazn, Aldo Serena ha raccontato alcuni aneddoti sulla sua carriera all’Inter e sulla sintonia col compagno di reparto Ramon Diaz.

SULLA SUA CARRIERA ALL’INTER –: «Carriera abbastanza anomala la mia perché l’Inter ha sempre voluto mantenere il possesso del mio cartellino, mi ha dato spesso alle altre squadre ma mantenendo sempre la priorità. Finito le esperienze con le altre squadre sono tornato alla base e fu un anno speciale e particolare. A novembre esordì in Serie A facendo anche gol, ricordo la frase di Peppino Prisco che il giorno dopo sui giornali disse: ‘Ero lì in tribuna ed ho sentito urlare come un ossesso una donna, ho capito che la mamma di Serena aveva partorito una seconda volta’. Trapattoni era andato all’Inter nell”86-’87 e io nell”87 finii il biennio alla Juventus e tornai all’Inter. Era una squadra in divenire, c’erano giocatori non più giovanissimi, alcuni che si stavano formando, era una squadra che aveva ancora bisogno di qualche innesto, soprattutto a centrocampo».

DIAZ E LA SINTONIA TRA I DUE -: «Con Ramon Diaz ci intendevamo a meraviglia, lui era un giocatore che svariava anche sulle fasce, che aveva una dote tecnica elevatissima, rapido nei movimenti. Io facevo da apripista, da ariete, e lui veniva a braccare l’area quando andavo a saltare di testa. In campo era fantastico perché non occorreva che mi facessi vedere, il movimento lo capiva subito e me la dava sul primo o sul secondo palo. Mi ricordo un gol meraviglioso che fece a Como. La combinazione tattica era indispensabile, per quello io quando ho giocato da punta centrale avevo delle caratteristiche ben definite. Non ero un attaccante completo, universale. Avevo bisogno del gioco di squadra, tornavo sempre nella fase di non possesso».

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