Mihajlovic, domani anniversario della morte. Dusan ne parla così
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Mihajlovic, domani l’anniversario della morte. Il figlio Dusan: «Essere accostato a lui è un onore»

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Domani 16 dicembre decorre l’anniversario della morte di Sinisa Mihajlovic, ex immenso dell’Inter: l’intervista al figlio Dusan

In occasione dell’anniversario della morte di Sinisa Mihajlovic, il figlio Dusan concede un’intervista alla Gazzetta dello Sport, in cui racconta il periodo trascorso e gli ultimi momenti dell’ex Inter.

ANNIVERSARIO- «Per me non era solo un papà, era un supereroe, un idolo. Era tutto. Lo guardavo con amore e ammirazione. Questo è stato un anno di merda, non so trovare altra espressione. Però provi ad andare avanti, pensi a cosa avrebbe detto o fatto lui. In famiglia eravamo già unitissimi ora lo siamo ancora di più. E poi c’è mamma che è una chioccia per tutti noi. Essere subito accostato a lui non è un peso, è un onore. E quando mi dicono che gli somiglio, che faccio i suoi stessi gesti, mi si riempie il cuore. Vale per tutti noi figli. È bellissimo risentire la sua voce, vedere le immagini. Ma sale anche il magone… Nella mia camera papà è dappertutto: sui muri, sul comodino, ovunque. Se un giorno avrò un figlio maschio si chiamerà Sinisa»

BOLOGNA-ROMA – «Domenica c’è Bologna-Roma. Io, mamma e Viktorija saremo allo stadio Dall’Ara. I tifosi della Lazio stanno preparando delle cose e li ringrazio. Io sono tifoso della Lazio da sempre e anche della Stella Rossa. La Curva mi ha regalato il bandierone con il volto di papà. Lo porto tutte domeniche per farlo sventolare. Nel 2019 Sinisa fu contattato dalla Roma… Gli dissi, papà sei matto? Se vai alla Roma non posso più uscire! E lui mi hai risposto: meglio così stai a casa e non fai cazzate»

ULTIMI MOMENTI- «A luglio 2019 eravamo in vacanza in Sardegna, papà era a Bologna e sarebbe dovuto partire per il ritiro. Chiamò mamma, le disse che aveva la leucemia e ci crollò il mondo addosso. Sapevo che era grave, ma conoscendolo non ho mai immaginato che potesse privarmi di lui. Per me era invincibile, invulnerabile. Dopo il primo trapianto si era ripreso alla grande.

A Bologna si svegliava alle 6 di mattina, andava a correre per 11 chilometri, allenava la squadra e poi faceva palestra. Era attento all’alimentazione. Sembrava un robot. Poi la recidiva… E neanche in quel caso ho pensato che non ce l’avrebbe fatta. Papà ti trasmetteva una forza assurda. Una settimana prima di morire, anche se stanco e provato, andava a camminare per chilometri.

E se vedendolo affaticato gli porgevo il braccio o volevo dargli aiuto, mi diceva: no, spostati, faccio da solo. Anche nei momenti di maggiore difficoltà, non l’ho mai visto fragile. Una sola cosa durante la malattia era cambiata. Si era aperto ai sentimenti, la corazza che aveva portato sempre era caduta e aveva lasciato esprimere quello che è sempre stato: un uomo buonissimo»

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