Bergomi: «Vi dico tutto. L'Inter mi ha tolto questo»
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Bergomi a ruota libera: «Vi dico tutto. L’Inter mi ha tolto questo»

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Beppe Bergomi ha parlato a ruota libera di diversi temi legati al suo passato, citando anche l’Inter che gli avrebbe tolto questa cosa

Beppe Bergomi ha concesso una lunga intervista a La Gazzetta dello Sport. Vediamo le sue parole.

IL TEMPO CHE PASSA«Sto bene, nel fisico e nella testa. Sabato ho giocato a padel con Beppe Baresi, un fratello di 5 anni più vecchio: abbiamo tenuto testa a due 25enni. Lui è il mio Highlander: corre ancora come un pazzo e mi impongo di stare al suo passo. C’erano lui, Fabio Caressa e altri amici a brindare nel mio bar, il “Don”, mentre la sera si festeggia solo in famiglia».

IL REGALO PIÙ BELLO DELLA VITA – «Ho capito di dover restituire qualcosa della fortuna avuta quando ho incontrato sulla mia strada un uomo come Romano Parnigoni: è il fondatore, scomparso anni fa, dei “Bindun”, un gruppo di solidarietà interista nato nel 1982. In milanese significa “girovaghi” e infatti non ci siamo più fermati».

CONSIGLIO AL BEPPE DICIASSETTENNE – «Gli direi che quell’età non torna… Magari avrei potuto viverla in una maniera diversa e spensierata, ma non sento alcun rimpianto: sono diventato subito professionista, la mia esistenza è stata scandita dal calcio e mi è piaciuto così. E ora che l’età cresce, mi emoziono più facilmente per tutto: basta un bel gol o una partita folle come Inter-Barça. Ho sempre tenuto tutto dentro, e nella vita mi ha penalizzato: ora invece lascio andare anche le lacrime».

LA CONSAPEVOLEZZA DI “ESSERE L’INTER” – «Da subito. Da quando mi hanno dato il primo borsone nelle giovanili con dentro una maglia di lana con righe grandi, nere e azzurre, che ricordavano la grande Inter: fu una folgorazione. Ancora adesso, quando qualcuno davanti a me insinua qualcosa, io rispondo così: “Ricordatevi chi sono io, io sono l’Inter”. Più vado su con l’età, e più questo sentimento di appartenenza è forte, anche se come commentatore resto professionale e distaccato. Il punto è che ricordo davvero tutto della mia vita nerazzurra: in una delle chat coi miei ex compagni, dal nome “Inter Trap”, Paolo Stringara mi ha da poco sfidato a riconoscere tutti quelli che comparivano in una nostra foto in un torneo del 1978 a Rimini: avevo 15 anni, ne ho sbagliato solo uno».

COSA GLI HA TOLTO L’INTER – «Quando ho smesso stavo ancora molto bene, ma allora mi fecero capire che dovevo andarmene… È vero che ho iniziato a lavorare subito in tv, ma non mi è stata data la possibilità di iniziare ad allenare nel settore giovanile del club del mio cuore, come è stato concesso a tanti».

LA SCELTA D’ORGOGLIO – «Avevo 20 anni, Trapattoni dalla Juve mi chiese di andare là e, quando gli dissi che non me la sentivo, mi rispose “fai bene”. In un’altra epoca, negativa, avevo ricevuto dei sondaggi di Roma e Lazio, e Bagnoli mi disse in milanese: “Ti te stè chi”, “tu resti qua”. Quando passi tanto tempo in una squadra che vince poco, allora guadagni rispetto e amore».

SCUDETTO E MONDIALE – «L’Inter può farcela, ma non è la squadra più forte del campionato: è ed è stata solo la più brava, quella che gioca meglio. Certo, servirebbe un acquisto a destra e un giocatore di fisico in mezzo per avere più certezze. Sul Mondiale dico di sì, andremo: la pressione sarà enorme, ma riusciremo a gestirla».

LA PARTITA DA RIGIOCARE –
«Stavo rispondendo a messaggi di auguri in una chat che si chiama “Notti Magiche”. Vorrei rigiocare solo la semifinale di Italia ‘90 con l’Argentina, ma a Roma, e non perché i napoletani non tifarono: quello è un falso storico. Nella capitale, però, c’era qualcosa di magico, lo sentivi nell’aria».

IL RICORDO DI BEARZOT – «Se ne sono andati in tanti, Pablito, Luca Vialli, Gigi Simoni, Andy Brehme, Castagner e tanti altri: mi mancano tutti. Ma vorrei riparlare una volta ancora con Enzo Bearzot, il mio secondo papà, visto che ho perso il primo a 16 anni. Gli direi che porto nel cuore la sobrietà che mi ha insegnato e provo a diffonderla. Una volta alzai due braccia dopo un gol all’Ascoli e mi disse: “Hai esagerato, rispetta chi è retrocesso”».

LIBRI, FILM E BASKET – «Ho iniziato a leggere davvero grazie a Castagner: aveva sempre dei libri di uno stesso autore, quando gli chiesi di chi fossero scoprii Wilbur Smith. Li ho letti quasi tutti, il mio preferito è “Il Dio del fiume”. Il film della vita, invece, è “Pomodori verdi fritti”: mi commuovo ogni volta che lo guardo. Sono appassionato di basket e, si sa, tifo Olimpia, ma suggerisco un docu su Sky dal titolo “The Lost Dream Team”: è la storia meravigliosa dell’ultima nazionale jugoslava».

I FRATELLI DEL CALCIO – «Quelli della mia prima Inter: Altobelli, Muraro, Beppe Baresi, Marini che ha inventato il nome “zio”. E ovviamente gli altri con cui avrei vinto dopo: Zenga, Ferri, Berti. Nicola mi ha chiamato subito: “Io allo zio gli auguri devo farli a voce…”».

IL SOPRANNOME “ZIO” –
«Mi ci sento, sono “lo zio” anche per chi non mi conosce. Mi piaceva da ragazzo, figurarsi a 62 anni…».

SE NON FOSSE STATO CALCIATORE – «Un ragioniere, magari prossimo alla pensione. Avrei fatto quello, studiavo con quell’obiettivo. Magari sarei rimasto a Settala, nell’hinterland milanese, nell’attività di famiglia, un distributore di benzina che era anche autonoleggio. Ricordo ancora il quadernone della contabilità di mia mamma, lì segnava la gente che doveva ancora pagare…».

IL DESIDERIO SOTTO L’ALBERO –
«Vorrei solo conservare questa felicità tranquilla. Non voglio stress, non ne vale la pena».

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