Hanno Detto
Conceicao sulla Supercoppa dell’anno scorso: «Ho pianto per la vittoria. Vi spiego il sigaro»

Il tecnico portoghese Sergio Conceicao ha parlato del trionfo in Supercoppa italiana dello scorso anno, spiegando anche l’esultanza con il sigaro
Sergio Conceicao è stato intervistato da La Gazzetta dello Sport. Vediamo cosa ha detto.
LA SUPERCOPPA VINTA SUBITO – «In effetti sì. Ricordo giorni di lavoro intensi a livello di analisi video, di motivazioni e di discorsi per entrare subito nella testa dei calciatori. Battemmo la Juve di mio figlio Cisco e poi l’Inter in rimonta. E piansi»
IL SIGARO – «Una promessa. I giocatori, che avevano visto dei video, mi chiesero di fumarlo in caso di vittoria. Col Porto l’avevo fatto 11 volte, ovvero dopo aver vinto trofei. L’allenatore che ne ha vinti di più. E quindi l’ho rifatto».
IL MATCH DI STASERA – «Non ho favoritismi, e non vorrei parlare neanche di giocatori perché poi è un attimo che scrivono che ci interessano. Vedrò la partita, Bologna e Napoli sono belle da vedere. La sfida tra Conte e Italiano è uno spot per il calcio. Antonio è un ossessionato, come me, e infatti l’ossessione batte il talento. Vincenzo, invece, gioca un bel calcio, tant’è che l’anno scorso abbiamo perso la finale di Coppa Italia contro di lui. Un rimpianto grande».
L’ESPERIENZA AL MILAN – «Positivi. Dal 2016 a oggi solo due allenatori hanno vinto trofei in rossonero: Pioli, con lo scudetto, e io. Se sommiamo i punti del nostro periodo abbiamo avuto un ritmo da Europa League, quinto posto. I risultati ci sono stati: penso ai due derby vinti e al successo con la Roma. Dispiace per la finale di Coppa Italia, ma alcune cose non mi sono piaciute».
I PROBLEMI – «C’era instabilità a livello societario, attorno alla squadra l’ambiente non era buono. Per questo mi tengo stretto ciò che abbiamo fatto. Inoltre, la dirigenza non mi ha supportato. Le faccio un esempio: dopo aver vinto la Supercoppa giocammo col Cagliari. In quel periodo giravano già le voci che il club stesse seguendo altri allenatori. Io pensavo a lavorare e a vincere, col peso dei risultati. Non ho avuto tempo di lavorare a tutti i livelli».
SAREBBE RIMASTO AL MILAN – «Sì, ma con alcuni cambiamenti».
I CALCIATORI LO HANNO TRADITO? – «Mai, anzi, erano con me. L’ha detto anche Theo nell’intervista che avete fatto: dopo il Feyenoord, quando la gente diceva che l’avesse fatto apposta a farsi espellere, io l’ho difeso. In molti mi hanno scritto quando sono andato via. Io pretendo rigore, esigenza e poi relax quando c’è da rilassarsi. Se uno si presenta con un chilo in più, arriva in ritardo o cose simili io non posso tollerarlo. Per me, alla fine, i giocatori sono tutti uguali».
IL DISCORSO PIU’ SIGNIFICATIVO – «Nel 2012, all’Olhanense, avevo studiato le passioni e gli hobby dei miei giocatori, una cosa che faccio sempre. Prima di una partita, per la Festa del Papà, mostrai un video in cui i padri parlavano di loro. C’era gente che piangeva, poi andarono in campo e… 2-0 per gli avversari. Al rientro nello spogliatoio cambiai versione e tornai sergente: pareggiammo 2-2».
ARABIA SAUDITA – «Sì, ci siamo sfidati a ottobre e ha vinto lui. Ero appena arrivato. Dopo Porto-Inter, dove i suoi ebbero un bel po’ di fortuna, non lo salutai perché in fondo sono così, durante le partite vado in trance, ma è un grande allenatore. Abbiamo vinto lo scudetto nel 2000. Il rapporto è buono».
SCUDETTO 2000 – «Avevo fatto un voto alla Madonna di Fatima, feci gli ultimi 500 metri in ginocchio e poi mi presentai in ritiro. Era il 1998, segnai alla Juventus all’ultimo minuto e vincemmo la Supercoppa. La fede è una parte fondamentale della mia vita. Sono un cattolico praticante, qui non posso ma a Milano andavo in chiesa ogni giorno. Qualche mese fa il Papa mi ha invitato al Giubileo per raccontare il mio percorso e le mie difficoltà».
LA FEDE – «Ho perso mio padre a 16 anni per un incidente in moto, mia madre a 18 dopo una lunga sofferenza e poi anche un fratello, io ero il settimo di otto. La fede mi ha dato forza, tranquillità. Voglio dimostrare ai miei genitori che io ci sono e ho realizzato tutti i miei sogni. Ma dentro di me, nel profondo, nascosto, ho e avrò sempre un qualcosa di “nero”, come un’ombra».
I GENITORI – «Sì. Ho le foto con me e prego per loro ogni giorno. Io sono un uomo sereno, ho cinque figli, ho giocato e ora alleno, ma so che non sarò mai del tutto felice senza i miei genitori. È quello il buco che ho dentro di me».
I FIGLI – «Certo. Francisco ora è alla Juve e sta facendo bene».
CALCIO – «Il meno possibile. L’importante è che a cena lascino i telefoni in tasca. L’ho preteso anche al Porto e al Milan. Cisco ha debuttato con me in Portogallo. Nel 2020, durante il lockdown, gli dissi: “Sei hai fame… allora bevi acqua”. Era un po’ cicciottello. Per fare la differenza servono sacrifici e mentalità. Se potessi gli presterei la mia fame. Non che lui non ce l’abbia, anzi, ma comunque io a 16 anni portavo i soldi a casa per mangiare, era diverso. Ma ci ho sempre creduto. E lui anche ci crede».
IL PORTO – «Il rapporto con Da Costa è stato top. Quando arrivai il club non vinceva da quattro stagioni. Abbiamo fatto 600 milioni di cessioni e fatto bene anche in Champions, dove le squadre dicevano ‘ah, agli ottavi c’è il Porto…”. E invece siamo riusciti a far male anche alle italiane: Juve, Roma, Lazio…».
LA RICERCA – «Con la Lazio ho avuto contatti, ma non solo. E anche prima di firmare per l’Al-Itthiad ho avuto offerte. Qui il campionato è competitivo, le ambizioni alte, ci si allena nel pomeriggio e non la mattina. Bisogna adattarsi alle dinamiche culturali. Ma questa è una sfida, e io amo sfide così».
LA FRASE – «In acque dolci non si raggiungono grandi conquiste, serve la tempesta”. Mihajlovic, a proposito di Benassi, disse che la difficoltà non era fare il capitano, ma alzarsi alle quattro di mattina e lavorare. A me l’hanno insegnato i miei genitori. E non bisogna accontentarsi. Mi sono iscritto all’università a 51 anni. Sto facendo un master in allenamento sportivo».
SODDISFAZIONI – «Da calciatore, lo scudetto del 2000 con la Lazio, il più incredibile di sempre. Io, Sinisa e Stankovic ascoltavamo la radio nello spogliatoio. Era un gruppo di personalità, pieno di piccole risse ogni giorno, ma Eriksson sapeva gestirci. Ricordo anche la Supercoppa Europea del 1999, con lo United: Ferguson disse che il suo più grande rimpianto fu quella sconfitta».
DELUSIONI – «Lo scudetto perso con l’Inter il 5 maggio 2002. Consolai Ronaldo in lacrime in panchina, ero accanto a lui. Nessuno ci poteva credere. A Milano ho avuto difficoltà: Cuper non mi dava fiducia, ma era un gruppo di campioni».
RITORNO IN ITALIA? – «Certo, so già che lo farò».